Sostituzione volontaristica delle domande

GiacomoMessa

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(tratto da una catechesi)
Giussani elenca delle posizioni irragionevoli di fronte all’interrogativo ultimo e dice “…e non è per puro amore di elenco, ma è perché, in un modo o in un altro, questi atteggiamenti sono tentazioni, se non pratica già vissuta per tutti noi”, sta parlando di tentazioni per tutti e di pratica già vissuta, tra noi. “Nihil humani a me alienum puto”, “Non ritengo che non possa accadere anche a me una cosa che sia accaduta a un altro uomo”, nulla di umano ritengo che non mi possa accadere. Non bisogna scandalizzarci di niente, di niente, se guardate i vangeli i discepoli che l’hanno seguito e, tra tutti, quello a cui affidato la guida della Chiesa cioè Pietro, ha vissuto tutte, tutte queste tentazioni e normalmente cadeva sempre.

Di questi atteggiamenti il primo è la negazione teorica delle domande, può essere praticamente meno quotidiana, invece il secondo è più pericoloso: per usare un brano famoso di Peguy (Giussani, anche in un articolo su Repubblica lo ha citato): è meno pericoloso il materialismo, cioè la negazione pratica della domanda, sono molto più pericolosi gli idealismi o spiritualismi; “sostituzione volontaristica delle domande”, invece di lasciare emergere, poi si dirà come emergono, invece di lasciare emergere le domande del cuore, a queste domande, a priori, si pone una risposta.
Questa energia volontaristica, come cieca, si dà essa uno scopo, non è attratta da una meta riconosciuto oggettiva, se la dà essa stessa, sottolineate questa frase perché è bellissima, “la risposta alla domanda è essere attratto”, questo a livello creaturale, non si sta parlando dell’attrattiva Gesù, si sta parlando della realtà, dell’attrattiva della realtà, attratta da una meta riconosciuta oggettiva, invece di lasciarsi attrarre da qualcosa di oggettivo uno si dà lui la risposta a queste domande e così fa tacere queste domande.
Guardate che come tentazione e come pratica è molto diffusa questa cosa! E’ molto diffusa! Per cui non si guarda come un bambino la realtà per quello che è, ma uno ha già lui la risposta, già prefabbricata, e può essere anche il discorso del Movimento la risposta già prefabbricata.

E qui Giussani cita a questo brano di Russell e che leggo perché, magari in altri termini, può essere tentazione così facile anche per noi. Russel parla di conversione e poi dice “la vita dell’uomo è una lunga marcia attraverso la notte, circondata da nemici invisibili, torturata da logoramento e pena, uno ad uno come camminano i nostri compagni di viaggio svaniscono alla nostra visita. Brevissimo è il tempo in cui possiamo aiutarli; versi il nostro tempo luce solare sul loro sentiero per rincuorare il coraggio che vien meno, per instillare fede nelle ore di disperazione”.
C’è un modo di parlare di coraggio o c’è un modo di parlare di fede o come dice una bellissima (bellissima forse non si può dire, ma una tragica) poesia di questo poeta livornese, ma che ha vissuto a Roma, amico di Pasolini, Giorgio Caproni, in cui dice che una volta, entrando in una chiesa ha sentito un prete che gridava “Egli è qui Egli è qui, anche se non si vede ma Egli è qui” e lui commenta “la voce era repellente”.
C’è un modo di dire anche l’annuncio cristiano che non è la sorpresa di Giovanni e Andrea e non è il respiro di Pietro che gli dice “sì ti voglio bene”, che non è il riconoscimento stupito di una presenza che accade, o la domanda dolorosa (si parla di lacrime in tutta la liturgia della Quaresima, sempre parla di lacrime, sempre, tutti gli inni della Quaresima parlano di lacrime) la domanda anche dolorosa “vieni Signore Gesù″, ma è una certezza proprio non pia, che non sa cos’è la pietas, fabbricata dall’uomo; il Concilio di Trento in uno dei brani più belli condanna proprio una certezza non pia, che non rispetta la realtà.
E poi il commento di Giussani “quale fede? Fede in che? E’ come uno che inturgidisse i muscoli, come quando li si voleva ostentare da bambini, per poter affrontare il tempo con un sentimento ideale prodotto da questo stesso sforzo”.
E’ una tentazione possibile, si può parlare di ideale, o anche di cristianesimo prodotto dal nostro sforzo, non stupito riconoscimento di un attrattiva presente, non umile domanda di una presenza, come quando il bambino si accorge che la mamma non c’è e si mette a piangere perché la mamma non c’è; sono le uniche due posizioni di fronte a una presenza reale: o lo stupore del riconoscimento o le lacrime della domanda, non esistono altre posizioni.
Altre posizioni, anche se con parole cristiane, non sono altro che sentimento ideale prodotto dal nostro sforzo.

Le ultime due pagine di questo capitolo però, quando parla, citando una novella di Thomas Mann, parla dell’ideale dell’imperturbabilità o dell’ideale del “governo accanito di sé”, di uno che con la sua volontà si costruisce, vive lui un’ideale; questa imperturbabilità anche conquistata da un governo accanito di sé e poi dice “presto o tardi la tua costruzione, che ti è durata magari una reale ascesi di anni, un’accanita riflessione filosofica e un’accanita presunzione, un soffio basta a farla crollare”.

Tutto ciò che è costruito da noi non è risposta a noi, tutto, tutto ciò che è costruito da noi non è risposta al cuore nostro, un avvenimento è la risposta al cuore, cioè qualcosa che non costruiamo noi; tutto, tutto ciò che è costruito da noi, fosse pure la costruzione che ti è durata magari una reale ascesa di anni, fosse pure una cosa così, non è risposta al cuore.