(Estratto da una lezione su S. Agostino)
L’accenno che ho fatto prima indica l’inevitabile decadere del senso religioso…il senso religioso inevitabilmente diventa superstizione, inevitabilmente!
La stessa conoscenza del vero inevitabilmente decade in “libido cognoscendi”, in “cupiditas cognoscendi”, in presunzione.
Il primo brano lo leggo perché indica qual’è l’attività che la città di Dio ha in questo mondo, in rapporto alla condizione mondana, in rapporto quindi al potere di questo mondo.
Nella Genesi, dopo aver dopo aver parlato di Set, l’uomo che pone la sua speranza nell’invocare il nome del Signore, l’autore sacro ricomincia da Adamo e dice che ricomincia da Adamo, fa questo riassunto, perché deve in qualche modo evidenziare queste due città.
Una città che va da un omicida a un altro omicida, questo è il giudizio sintetico che Agostino ha della storia umana, la storia umana va da un omicidio all’altro.
Bobbio, recentemente, due, tre mesi fa, ricevendo il premio Hegel a Stoccarda, aveva di Hegel citato questa frase, che “la storia umana è un grande mattatoio”.
Il realismo di Agostino dice che la storia umana va omicida a omicida e parla di Lamech che alle sue due mogli ha confessato di essere un omicida.
L’altra città invece, è rappresentata da colui che ha posto la sua speranza nell’invocare il nome del suo Signore.
Una città che va da omicida ad omicida e l’altra città che pone la speranza nel domandare.
Anche qui è molto bello perché l’altra città non è in qualche modo il contrario della prima.
L’altra città pone la speranza nel domandare.
Poi c’è la frase, una delle frasi del De Civitate Dei che più mi hanno confortato e che secondo me indicano proprio il cuore della vicenda cristiana, questo porre la speranza nell’invocare il nome del Signore, in questo mondo! E’ bellissimo questo, in questo mondo, in hac mortalitate, in questa condizione mortale, non è l’altro mondo, in questo mondo.
In questo mondo in cui questa città vive, all’interno dell’altra città, perché i cittadini delle due città sono mischiati insieme, in questo mondo, in questa vita che va verso la morte, gli anni infausti e brevi di Leopardi.
In questo mondo è l’occupazione totalizzante e suprema della città di Dio l’invocare, il porre la speranza nel domandare, diciamo la preghiera, il termine più semplice.
Ma Agostino non dice che prega, è molto bello, dice che pone la speranza nel pregare, non dice che spera, ma che pone la speranza nel domandare.
Anche questa è una dinamica stessa della speranza, lo dirà dopo.
Non è stato detto “ha sperato”, non è stato detto “questo ha pregato, ha domandato”, no, è stato detto che ha posto la speranza, ha sperato nel domandare, ha posto la speranza nel domandare, nell’invocare il nome del suo Dio.
Allora, in questa in questa situazione mondana, il negotium, negotium indica proprio l’attività, l’attività totalizzante e propria, non dice unica (il totum indica l’orizzonte dell’attività), totalizzante, suprema e propria della città di Dio è porre la speranza nell’invocare il nome del Signore.
E poi dice la differenza invece con la città dell’uomo.
Guardate che è da una prospettiva così che può nascere un giudizio realistico secondo me, anche sulla condizione politica mondana, altrimenti non sarebbe realistico, soprattutto nel mondo in cui viviamo, non sarebbe realistico.
Basterebbe aver letto con attenzione la Quadragesimo Anno di Pio XI per accorgersi che già allora la politica in qualche modo era solo strumento formale di poteri reali, non sarebbe realistico non tener presente quello che Pio XI ha detto in modo che nessuno poi ha ripetuto così chiaramente, tranne Paolo VI, che cita proprio questo brano nella Populorum Progressio, quando parla dell’imperialismo internazionale del denaro, quando dice “allora la patria, dov’è la patria?”, la patria reale non le patrie di cui si parla, e neppure quelle che si vanno a costruire, “la patria reale è lì dove c’è guadagno”. Quella è la patria reale, il resto sono formalità ormai (1931), pure formalità, ma la patria reale è lì dove c’è guadagno, dove c’è guadagno c’è la patria reale, e ciò che comanda realmente è quello che lui chiama “l’imperialismo internazionale del denaro”, e lui dice questo come una delle conseguenze più gravi del moderno.
La politica ormai diventata strumento di questa patria reale.
Come è stato gestito il passaggio in Russia da Gorbaciov a Heltsin in questi 10 anni mi sembra che stato evidente qual è stato il criterio di questo passaggio.
Dicevo che anche per anche per dare un giudizio sulla politica che sia realistico, che tenga presente questo orizzonte, non si può che partire da questo “negotium totuum atque summum” della città di Dio, proprio l’attività, la sua attività, l’attività propria.
Poi dice invece qual’è l’attività propria della città del mondo.
Il figlio di Caino, cioè il figlio del possesso (quale possesso se non il possesso terreno) ha il problema di darsi consistenza e quindi costruisce la città; qui è bellissimo perché dice che Set non ha il problema di costruire la città ma Set ha solo come occupazione di porre la speranza nell’invocare il nome del Signore, il figlio di Caino invece ha il problema di darsi consistenza e quindi, per darsi consistenza, di costruire la città.
Sono, come dire, due sorgenti della stessa attività politica. Se come sorgente ha l’uomo che pone la sua speranza nel domandare è un’altra dinamica; se come sorgente ha l’uomo che vuole darsi lui consistenza con le proprie mani e quindi costruisce lui per darsi consistenza è un’altra dinamica.
Poi cita versetti dei salmi in cui questa consistenza dell’uomo, questa immagine dell’uomo, il Signore riduce a nulla.