XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

GiacomoMessaDal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


OMELIA

sabato 3 novembre 2007 [Scarica]

Mi veniva in mente, rileggendo in questi giorni questo brano del Santo Vangelo, mi veniva in mente come tre sguardi così diversi: lo sguardo della folla, lo sguardo della folla, in fondo lo sguardo dell’indifferenza, che non è una cosa cattiva quando non diventa superbia, quando non diventa una maschera, quando rimane l’estrema povertà di ogni uomo, allora il Signore si commuove anche di questa folla che è come pecore senza pastore.

Il primo sguardo: lo sguardo dell’indifferenza, lo sguardo di chi non lo incontra, lo sguardo di chi non l’ha mai incontrato. E poi c’è lo sguardo di Zaccheo quando corre avanti e quando sale per guardare. E questa curiosità di Zaccheo è così buona, questa curiosità dell’uomo è così buona, questo tante volte commuove il cuore di Gesù, è così buona, ma così impotente. È così buona, ma non rende felice la vita. È così buono questo sguardo dell’uomo quando rimane, quando accetta tutta la sua impotenza, è così buono questo sguardo, ma questo sguardo, questo sguardo ultimamente è segnato dalla violenza.
Da questo punto di vista come è bella l’espressione del Libro della Sapienza: “Hai compassione di tutti perché tutto tu puoi”. Bisogna essere onnipotenti per voler bene, per voler bene bisogna potere. Se non si può, non si può volere bene. Il volere bene dell’uomo, proprio perché non è il volere bene di Dio, proprio perché è così impotente, il volere bene dell’uomo è segnato dalla violenza. E quando rimane lui, allora questo sguardo, questo sguardo commuove, quando rimane lui, quando rimane impotente, quando rimane umile. Come anche nella preghiera si vede questo, quando rimane gemito, anche tra noi, quando rimane gemito. Se invece pretende lui di darsi la risposta al gemito come è doppia persino la preghiera. Quando rimane gemito.

E poi c’è lo sguardo di Zaccheo quando lo ha guardato, quando Zaccheo scende di corsa pieno di gioia, ma questo è uno sguardo che non è di Zaccheo, che è il fatto di essere guardati, questo è puro riflesso, è puro riflesso di essere guardati, questo è l’unico sguardo che non è impotente, questo è l’unico sguardo che è pieno di gioia, questo è l’unico sguardo che l’uomo non possiede, non possiede, perché è solo essere guardati: “ E Gesù passando alzò lo sguardo e guardò Zaccheo”. Non l’avrebbe visto se non fosse stato guardato, non l’avrebbe amato se non fosse stato amato, è questo l’unico sguardo che non affatica, perché non è nostro. È così nostro, è l’unica cosa nostra, ma quando si è guardati, questo è l’unico sguardo, è l’unico sguardo che è giubilo già in terra, è dolcezza già in terra.
Noi possiamo soltanto rimanere nel gemito, “i miei anni passano nel gemito”, noi possiamo soltanto, da parte nostra, rimanere nel gemito. Ma non si può rimanere nel gemito, diventa violenza anche il gemito e diventa teatro anche il gemito se all’orizzonte non c’è questo sguardo. Che il suo sguardo se all’orizzonte, questa dolcezza dell’essere guardati, questa dolcezza dell’essere amati, questa dolcezza, di Lui, di Lui che guarda, di Lui che guarda.
Non lo avrebbe visto se non lo avesse guardato. Non sarebbe stato l’incontro per Zaccheo se non lo avesse amato così, se guardandolo non gli avesse detto: “Zaccheo, scendi in fretta perché vengo a casa tua”.
È suo lo sguardo che dona gioia al cuore. Pieno di gioia Zaccheo scese. È suo, è perché si è guardati, è perché si è amati. Così allora se questo essere guardati, se questo essere amati rimane anche nel gemito del pellegrinaggio della terra, rimane sull’orizzonte, allora il gemito è umile, allora il gemito è: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Allora il gemito è caro e dolce quando è tutto sorretto dalla memoria presente di questo sguardo. Allora il gemito, anche il gemito nostro è frutto di grazia. Ma allora si è umili, si è umili nella preghiera, allora quando si canta, si canta perché innanzitutto è la Chiesa santa di Dio che canta, allora non sono io, non sono io. Io posso soltanto, io posso soltanto attendere di essere guardato così.

Così il Signore guardò Zaccheo. E così Zaccheo scese pieno di gioia, Zaccheo che era piccolo di statura, che rappresenta i piccoli, che rappresenta i poveri, che rappresenta gli umili, Zaccheo che era un peccatore, che era ricco e peccatore, “dives sed electus a Domine”, “sì era ricco, inizia così sant’Ambrogio, ma fu amato dal Signore”.