Meditazione Pasquale 18 aprile 2000

Meditazione Pasquale 18/4/00 – Basilica del Santo

In questa chiesa familiare e cara per la presenza di Sant’Antonio, come accennava il padre rettore che ringraziamo per l’ospitalità, vorrei suggerire semplicemente alcuni cenni o alcune scintille di luce, per usare un’immagine della Bibbia e anche questa cara a noi, alcune scintille di luce per vivere questa Settimana Santa.

Vorrei partire dalla lettura del breviario di ieri, lunedì santo. C’era una lettura di Sant’ Agostino che diceva “ è’ una grande cosa quello che ci è promesso”. Che cosa ci è promesso, che cosa è promesso a ciascuno di noi, credente e non credente. Fosse qui uno ateo o fosse qui uno dal cuore pieno della carità come Antonio da Padova, che cosa è promesso? E’ promessa la felicità, e la felicità per sempre perché non sarebbe felicità se non fosse per sempre o, per usare un termine evangelico – ma anche felicità è un termine evangelico, ha iniziato dicendo beati i felici – per usare un altro termine ha promesso la vita per sempre e come l’ha promessa?

L’ha promessa attraverso il nostro cuore e per questo dicevo che questa promessa di per sé è identica per l’ateo e il credente. Il cuore che mi ha dato mio padre e mia madre, il cuore di ciascuno di noi contiene questa promessa, il cuore di ciascuno di noi contiene questa promessa, è attesa di una felicità vera e vera vuol dire che corrisponde al cuore e attesa di un compimento per sempre. Forse qualcuno ci ha promesso qualcosa? E allora perché aspettiamo- scriveva Cesare Pavese nei suoi diari. Perché aspettiamo? Se il cuore aspetta vuol dire che qualcuno ci ha promesso qualcosa. E’ grande cosa questa promessa per ogni uomo.

Ogni uomo viene al mondo con un cuore così, un cuore che attende la felicità, un cuore che attende di essere felice per sempre. Poi questa attesa è come inevitabile che decada, dice la dottrina cristiana, è come inevitabile che poi uno si accontenta, e qui non c’è religione che tenga, non c’è sentimento religioso che tenga, è inevitabile che poi nella vita uno si accontenti, ma comunque il cuore rimane così, il cuore sotto tutti i detriti rimane almeno per alcuni istanti, anche nella confusione, anche nell’andare a tentoni, ma rimane attesa di felicità per sempre. Diceva Agostino ieri nel breviario che è una cosa grande quella che ci è stata promessa.

Questa felicità è una cosa grande, che il nostro cuore sia fatto così è una cosa grande, che il cuore di ogni uomo sia fatto così è una cosa grande, è una cosa bella come è bello lo sguardo della mamma o del papà verso il proprio figlio piccolo. Ma, aggiungeva Sant’Agostino, è più grande quello che è capitato, è più grande come questa promessa si è realizzata. Una promessa così vera, così reale, se noi non la potessimo incontrare, se l’uomo in questa vita non ne potesse sperimentare l’anticipo reale (reale come l’alba che non è il sole pieno ma è un anticipo reale della luce, senza il sole non ci sarebbe l’alba).Se non la potesse sperimentare in questa vita dopo un po’ direbbe che non esiste. Allora è più grande quello che duemila anni fa è capitato. Duemila anni fa questa felicità che il cuore attende, questa vita che il cuore attende, questa bellezza che il cuore attende è diventata carne, perché l’uomo la potesse incontrare, perché se Dio esiste ma non si può incontrare è inevitabile alla lunga che ci si accontenti.

E’ inevitabile alla lunga che il cuore dica che non esiste. Allora, prima in quella piccola casa di quel paese sperduto ai confini della terra promessa, Nazareth, per trent’ anni in quella piccola casa a Maria e a Giuseppe la felicità fatta carne diventava esperienza quotidiana. Per Maria e per Giuseppe diventava stupore quotidiano, dal primo stupore quando Maria l’ha partorito e quando per la prima volta in questa vita occhi umani, gli occhi di due ragazzi, di Maria e di Giuseppe, hanno visto Dio.

E’ una cosa dell’altro mondo solo pensare una cosa così, che quando l’ha partorito, con quel parto stupendo, pieno di stupore, per la prima volta su questa terra, non nell’aldilà, non dopo la morte, su questa terra, gli occhi di due ragazzi, gli occhi di Giuseppe e di Maria hanno visto la felicità in persona, hanno visto quello che il cuore dell’uomo attende e che non aveva mai visto. Loro invece l’hanno visto, l’hanno preso in braccio, Maria l’ha allattato, come ciascuno di noi con sua madre. Quindi per trent’anni in quel piccolo paese e poi quando ha incominciato ad incontrare Lui, ad incontrare i primi, a incontrare Giovanni e Andrea quel pomeriggio sulle rive del fiume Giordano “erano le quattro del pomeriggio”. Allora la felicità, allora la vita si è fatta vedere e Giovanni scriverà poi “…e noi l’abbiamo vista, noi abbiamo toccato con mano” quella vita eterna che era nel mistero e si è resa visibile. Da allora è molto più grande questa esperienza che non l’attesa, è molto più grande la possibilità di fare esperienza della felicità che non l’attesa. Adesso partendo da questo vorrei suggerire come tre spunti

Il primo
Pensate il giorno dopo che i primi due l’avevano incontrato ed erano rimasti tutto il pomeriggio a guardarlo parlare. Uno di loro si chiamava Andrea e aveva un fratello che si chiamava Simone e Andrea il giorno dopo ha detto al fratello: abbiamo incontrato il Messia. Abbiamo incontrato cioè quello che il popolo eletto attendeva, quella felicità concreta che il popolo attendeva. Il popolo di Israele del cuore dell’uomo era ed è per sempre la garanzia e la difesa. Il popolo eletto attendeva il Messia, cioè attendeva che il cuore dell’uomo trovasse una risposta sulla terra. Ebbene, Andrea ha detto a suo fratello “abbiamo trovato il Messia”.

Immaginate quando quel giorno Gesù ha guardato Simone e quelle poche parole che gli ha detto “ tu sei Simone, ti chiamerai Pietro”. Così l’ha guardato la prima volta e immaginate Pietro in quei tre anni tutte le volte che è stato guardato così dal Signore, anche quella volta, come il vangelo della messa di oggi suggeriva, che Gesù profondamente commosso la sera del primo giovedì santo ha detto “ uno di voi mi tradirà”. Allora Pietro fa cenno a Giovanni di chiedere chi è e poi dice “anche se tutti ti tradissero io non ti tradirò” e Gesù guardando Pietro “Tu non mi tradirai…prima che il gallo canti due volte mi avrai tradito tre volte”.

Allora la prima volta che l’ha guardato e poi la tenerezza quasi con dentro un sottile sorriso di umorismo con cui gli ha detto questa cosa. Ma c’è uno sguardo più grande di questo ed è lo sguardo dopo il tradimento quando, dopo che Pietro lo aveva tradito, così che fosse evidente che non poteva fondarsi sulla sua buona volontà, non poteva fondarsi sul suo cuore, non poteva fondarsi sulla sua libertà, dopo che l’ha tradito “…e Gesù guardò Pietro” o come il vangelo di Marco dice “e Pietro si ricordò di quello che Gesù aveva detto e scoppio in pianto” e questo sguardo e queste lacrime sono più belle, più umane che non il primo sguardo.

Questo sguardo di Gesù quando l’ha guardato dopo che l’aveva tradito e queste lacrime contengono una gratitudine che il primo sguardo non conteneva, contengono una bellezza, le lacrime di Pietro, che il primo stupore non conteneva. Il perdono dei peccati è un dono più grande della prima grazia, il perdono dei peccati è questo pianto “…e Pietro scoppiò in lacrime”. Questo pianto non nasce dal peccato, il peccato genera soltanto schiavitù, nasce da quella presenza che l’ha guardato, nasce perché Pietro si è ricordato.

E’ per grazia, è la sua grazia che desta il dolore dei peccati. Il peccato al massimo suscita un’umiliazione, soprattutto certi peccati umilianti, ma non destano dolore. E’ perché uno si ricorda di come è bello quello sguardo, di come è cara e come è familiare quella presenza, è perché uno viene guardato dopo aver peccato “…e Gesù guardò Pietro” e Pietro scoppiò in lacrime. Come sono piene di gratitudine queste lacrime, come sono liete “habet et laetitia lacrimas suas” dice Sant’Ambrogio, la letizia di essere abbracciato di nuovo, di essere di nuovo accolto, la letizia di essere di nuovo guardato, di nuovo preso in braccio, preso sulle spalle come dice la parabola.

Non gli ha detto devi tornare a casa, l’ha presa sulle spalle quella pecora che si era smarrita e il bambino viene preso in braccio altrimenti non ritorna a casa, così la prima cosa che volevo accennare è che c’è una gratitudine più grande del primo stupore ed è la gratitudine di essere perdonati. Se non fossimo poveri peccatori non potremmo sperimentare la felicità di queste lacrime e queste lacrime nascono perché uno si ricorda di Lui, nascono quindi da una grazia perché è una grazia ricordarsi così ed è una grazia essere guardato così.

La seconda cosa
Questo sguardo che vince anche il peccato ha vinto una cosa che del peccato è la conseguenza, che del peccato è il compimento, cioè la morte. Se non avesse vinto la morte quel primo sguardo ed anche questo sguardo a Pietro sarebbe stato, dopo, un po’ soltanto sorgente di una disperazione più grande. Infatti quando lo hanno visto morire sulla croce, quando quel primo Venerdì Santo l’hanno visto morire, è come se tutto quello che avevano incontrato, è come se quel rinnovarsi di stupore, quel filo di tenerezza, quello stupore che Pietro aveva provato quando Zaccheo, guardato e chiamato da Gesù, è sceso in fretta ed è andato a casa a preparare da mangiare e ha dato quel pranzo, o come lo stupore che Pietro ha avuto quando la Maddalena ha pianto così e Gesù ha perdonato così alla Maddalena, ebbene, quando lo hanno visto morire è stato come se tutte queste cose fossero finite, tutte. Ma pensate alla Maddalena, per capire che cosa è stata la crocifissione e capire quindi che cosa è stata la sua resurrezione. Gesù stesso ha scelto questa prostituta, i vangeli stessi hanno parlato di Maria Maddalena.

Provate a immaginare che cosa è stato per Maria Maddalena quando l’ha visto morire: era finito tutto. Sarebbe tornata più disperata e più violenta al suo antico mestiere. Era finito tutto, quella felicità che il cuore attende e che avevano incontrato era finita, la croce è reale, quella morte era reale, è realmente morto e quindi realmente per qui poveretti che avevano iniziato qui sulla terra a sperimentare il Paradiso, il Paradiso era finito.

Realmente Dio, il compimento dell’attesa del cuore, realmente sulla croce è morto. Immaginate quindi la disperazione di Maria Maddalena o immaginate la disperazione o la tristezza di quei due che si allontanavano “….perché noi speravamo ma ormai sono passati due giorni, ormai tutto è finito..” Così il cristianesimo che era iniziato in quello stupore ricomincia come un nuovo inizio che non finisce perché ha vinto l’ultimo nemico, ricomincia quel mattino di Pasqua (com’è bello in fondo alla basilica l’angelo della resurrezione!)

E’ iniziato lì, il cristianesimo non è iniziato con quella morte, il cristianesimo è ri-iniziato come inizio con la sua Resurrezione perché i suoi discepoli con i loro sensi l’hanno visto e l’hanno toccato risorto, come dice Sant’Agostino in una frase stupenda (basta una frase così per dire che cosa è il cristianesimo) “Tertio die resurrexit sicut apostili suis etiam sensibus probaverunt” è risorto il terzo giorno come i suoi apostoli anche con i loro sensi, non con il pensiero,non è nato con una riflessione del pensiero, è nato col vedere e toccare un uomo nato alla vita, è nato col vedere e toccare l’uomo che era morto realmente sulla croce il Venerdì Santo e quel mattino di Pasqua, il primo giorno dopo il sabato, è ritornato alla vita per la potenza dello Spirito del Signore, del suo Spirito.

E’ nato così il cristianesimo, è nato da questa verifica dei sensi. Come diceva Paolo VI, se non è stato visto e toccato con i sensi c’è la gnosi , ma non c’è il cristianesimo. Il cristianesimo è nato da una cosa che hanno visto e hanno toccato e solo perché l’hanno visto e toccato, per questo lo hanno seguito, per questo Pietro lo ha seguito con la semplicità del bambino e per questo con la semplicità del bambino gli ha detto, quando dopo la resurrezione gli ha chiesto: Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi tu bene? Pietro come un bambino, come un respiro gli ha detto: Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene. Se non fosse risorto, ma se non l’avessero visto e non l’avessero toccato ….perché nasce così altrimenti non c’è fede cristiana, altrimenti c’è soltanto l’idealizzazione di alcuni particolari, c’è soltanto l’attaccamento ultimamente triste ad un passato.

L’hanno visto vivo, allora tutta quella storia, tutto quell’incontro è rinato perché l’hanno visto, non perché hanno idealizzato un passato, ma perché hanno visto e toccato Lui vincitore della morte. E’ così che si comprende. Pensate Sant’Antonio, pensate l’immagine più tradizionale diffusa in tutta la chiesa di Dio, di Sant’Antonio con in braccio Gesù Bambino, perché è tutto lì, senza lo stupore di una intimità così, senza, per lui in maniera straordinaria, senza toccare e vedere il Mistero fatto presenza umana non si può essere cristiani. La possibilità di essere cristiani, la possibilità di dire sì, la possibilità di chiedere e domandare umilmente, la possibilità di non offendere il Signore.

Per sua grazia, con il Tuo aiuto, prometto ti esserti fedele, altrimenti sarebbe la presunzione più grande. Con la tua santa grazia prometto di non offenderti mai più. Tutto questo è possibile perché nasce dall’esperienza che è una cosa bella, familiare essere voluto bene da Gesù. E’ stata possibile la santità di Antonio perché l’ha visto così, perché l’ha toccato così. Da questo stupore, dalla felicità di questa intimità, da questa intimità così stupenda nasce la vita cristiana. Se non l’avessero visto e non l’avessero toccato dopo la sua resurrezione non potevano morire per Lui, Pietro non poteva sul Gianicolo accettare con gratitudine di morire per Lui. Non poteva accettare, dicendo grazie, di essere crocifisso per Lui. E’ perché l’hanno visto e toccato, perché hanno provato con i sensi che cosa è la felicità, la felicità del suo abbraccio. Per questo per Lui sono vissuti e per Lui senza neppure accorgersi sono morti.

L’ultima cosa che volevo dire, e qui permettetemi di leggere il brano di Giussani nel libro “Attrattiva Gesù” che più mi ha fatto compagnia in tutto questo tempo e che più descrive, suggerisce quello che ho tentato di dire. Allora come è possibile per noi che non abbiamo avuto una grazia così grande come Antonio di prendere in braccio quel Bambino e guardare quel Bambino, di abbracciarlo e guardarlo. Però per noi che, se siamo qui, l’anticipo inerme, fragile, ma l’anticipo di una felicità così l’abbiamo sperimentato, l’abbiamo sperimentato con quello che siamo, con gli occhi che si sono stupiti e con il cuore che si è commosso, come è possibile per noi?

Dice Giussani
Il tuo rapporto con Cristo non deve essere evoluto, scaltro, maturo, perché la tua personalità ne nasca (perché il tuo cuore sia commosso come era commosso il cuore di Antonio o come era commosso, con una commozione che nessuno potrà mai eguagliare , il cuore di quella ragazza ebrea che si chiama Maria e che gli ha dato carne e sangue. Non deve essere maturo perché il cuore sia commosso così ,è quando il cuore si commuove che rinasce altrimenti il cuore è duro come pietra, quando si commuove ritorna innocente come il cuore di un bambino) e la tua personalità da esso sappia creare compagnia (sappia voler bene all’uomo che incontri per caso, sappia voler bene alla persona che hai vicino, a tuo marito o tua moglie, al figlio o voler bene all’estraneo, e senza uno stupore così è come se dopo un po’ tutti diventassero estranei). Basta- come dire- la sorpresa che ebbero Giovanni e Andrea, che non capivano niente; (è iniziato per uno sguardo ed è ricominciato quel mattino di Pasqua perché l’hanno visto, non è iniziato con il pensiero il cristanesimo, questo sguardo e questa commozione sono la cosa più ragionevole di questo mondo, è il pensiero più alto che l’uomo possa avere, questo sguardo e questa commozione da bambino) basta la sorpresa, basta l’accenno di devozione, basta lo stupore.

Più precisamente: basta il chiederlo, basta quell’embrionale percezione de quel che Lui è che te lo fa chiedere, per cui lo chiedi. Questa frase mi auguro vi faccia compagnia, come si fa a chiedere, coma fa l’uomo a chiederlo? C’è qualcosa che viene prima lo stesso chiederlo. Basta quell’iniziale, embrionale percezione che è una cosa bella quella presenza umana che si chiama Gesù, allora se è una cosa bella, come i primi due, la domandi, come han fatto Giovanni e Andrea, -Maestro, dove rimani?” sarebbe bello rimanere, sarebbe bello che quello che è capitato questo pomeriggio capitasse sempre, capitasse anche domani-.

Ecco, questa è la domanda, e la domanda è la preghiera cristiana, è molto più un “sarebbe bello” di fronte alla sua presenza, è molto più come quando la Madonna chiamava Gesù Bambino che magari stava giocando sulla porta di casa, è molto più una familiarità così, ha molto di più la natura della Madonna che chiama Gesù che tutta la preghiera religiosa del mondo. Basta quell’embrionale percezione di quel che Lui è che te lo fa chiedere, per cui lo chiedi.

Volevo concludere citando una preghiera della liturgia ambrosiana di quaresima che dice: Contro di Te abbiamo peccato Signore chiediamo un perdono che non meritiamo. La vita nostra sospira nell’attesa. Ogni vita umana sospira nell’attesa anche se non lo sa, domandando o bestemmiando. Sospira nell’attesa della felicità ma non si corregge il nostro agire, non basta l’attesa per essere buoni, non basta un cuore che attende per essere buoni, è solo un incontro con la felicità che rende il cuore buono è solo quando si è tanto contenti che il cuore diventa buono.

La vita nostra sospira attendendo ma non si corregge il nostro agire. Se Tu aspetti noi non ci pentiamo.
Com’è bello! Noi non ci pentiamo, da noi dopo ogni peccato non ci pentiamo, anzi il cuore diventa solo più duro e facciamo anche l’abitudine a tutti i peccati.
Se Tu punisci noi non resistiamo, tendi la mano a noi che siamo caduti.-Manum tuam porrige lapsis- un termine della tradizione della chiesa per dire coloro che tradivano la fede, il peccato più grande, coloro che nelle persecuzioni tradivano la fede.

Tendi la mano a noi che ti rinneghiamo, tu che al buon ladrone, che all’assassino pentito apristi le porte del Paradiso.
Come dice Sant’Agostino, quando tutti avevano perso la speranza, solo nello stupore di quell’assassino sulla croce, solo in quella commozione di un istante –brevi fide- dell’assassino crocifisso alla sua destra, tutta la speranza del mondo è stata raccolta, in quello stupore e in quella commozione. Basta così poco da parte nostra, basta lasciarsi commuovere così, tendi la mano a noi che ti rinneghiamo, tu che all’assassino buono hai aperto la porta del Paradiso.