Meditazione pasquale

Martedì Santo, 3 aprile 2007,
Basilica di Sant’Antonio

Omelia di don Giacomo Tantardini


Canti: Dulcis Christe, Amor dolçe sença pare, Stabat mater

«Stabat mater dolorosa», ai piedi della croce di Gesù stava Maria sua madre. Com’è bello questo verbo: “stava”. È come l’«eccomi» di trentatré anni prima. Anche allora lei non aveva fatto nulla. Ha detto «eccomi» quando ha concepito il suo Figlio unico; ora che nel dolore concepisce ciascuno di noi, anche in questo momento ha detto solo «eccomi»: «stava presso la croce».

Angelus

Due frasi del Santo Padre Benedetto XVI mi hanno accompagnato in questi ultimi tempi. La prima è quella che sabato scorso ha rivolto a tutto il Movimento, a tutta Cl, quando ha detto che si era diffusa l’opinione che il cristianesimo fosse una cosa opprimente e faticosa. Mi ha colpito moltissimo come il Papa abbia usato la parola “opinione”. È propria dell’eresia la parola opinione, perché Ratzinger ce l’ha insegnato anche come teologo: l’opinione è propria dell’eresia. Qual era l’eresia che si era diffusa, di fronte alla quale, non come reazione ma per grazia del Signore, don Giussani invece ha presentato, per usare ancora parole del Papa, la dolcezza dell’avvenimento cristiano? L’eresia che si era diffusa, che si stava diffondendo, era che il cristianesimo fosse una cosa faticosa. Questa era l’opinione, questa era l’eresia. Mi ha colpito molto di più la parola “faticosa” di “opprimente”, perché per quanto riguarda “opprimente” è facile dire che no, non è così. Invece il cuore di questa eresia era che il cristianesimo fosse una cosa faticosa.

Il papa l’ha poi ripreso in un modo stupendo mercoledì scorso parlando di sant’Ireneo, questo grande padre della chiesa indivisa, vescovo di Lione del secondo secolo, discepolo di Policarpo, e Policarpo a sua volta discepolo di Giovanni, il discepolo prediletto. Il papa dice che la gnosi, l’eresia gnostica consiste in questo: che il cristianesimo sono cose difficili da capire. Per gli gnostici quindi i semplici cristiani non possono capire cose così difficili, mentre i veri cristiani possono capirle. E così il Papa ha ripetuto che dire che il cristianesimo è una cosa difficile è l’eresia più grande, perché la gnosi è l’eresia da cui la Chiesa da duemila anni chiede al Signore di essere preservata.

Così ieri sera, leggendo la breve lettura della compieta, forse anche perché avevo nella mente e nel cuore queste parole del Papa, come per la prima volta mi è stato così semplice e facile ringraziare il Signore. La lettura diceva che Dio ci ha destinati all’acquisto della salvezza «per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi». E perché è morto per noi? «Perché sia che vegliamo sia che dormiamo viviamo insieme con Lui». Mi ha colpito questo «viviamo insieme con lui», mi ha colpito la semplicità di questa affermazione «viviamo insieme con Lui», come se il cristianesimo fosse tutto qui, fosse tutto in questa possibilità: Lui è morto perché noi, sia quando vegliamo sia quando dormiamo (come è bello anche questo, quando dormiamo è il segno che non dipende da noi, neppure dalla nostra coscienza), viviamo insieme con Lui.

Allora sabato e poi domenica scorsa, rileggendo la Passione secondo san Luca, e così questa sera vorrei solo aiutare un gesto di preghiera, un desiderio e una domanda del cuore; una gratitudine, una preghiera e una domanda. Vorrei proprio solo suggerire l’immagine del buon ladrone, perché secondo i Padri e soprattutto secondo sant’Ambrogio, guardando il buon ladrone crocifisso alla destra di Gesù uno capisce che il cristianesimo non è una cosa difficile, non è una cosa faticosa, uno capisce che il cristianesimo è un istante di sguardo e di domanda: un istante.

Quando sant’Ambrogio scrive l’inno di Pasqua Hic est dies verus Dei in fondo lo scrive tutto sull’immagine del buon ladrone e dice: «Chi non è strappato dalla paura pensando al fatto che il Signore assolve in un istante questo assassino?» Noi siamo strappati dalla paura pensando che in un istante questo assassino è stato assolto. Su questo brano del vangelo vorrei suggerire queste cose: innanzitutto si è trovato lì per caso. Com’è bello questo. I due assassini – perché se erano stati condannati alla croce dovevano aver commesso dei delitti – erano lì per caso. Quello alla sua destra si è trovato lì per caso, per puro caso si è trovato lì vicino a Gesù. Potremmo dire che si è trovato lì a causa dei suoi delitti e anche questo ha una parte di vero. Ma che si sia trovato lì messo in croce accanto a quel crocifisso che si chiamava Gesù non l’ha scelto lui: si è trovato lì. E così mi viene in mente che non solo all’inizio, ma in ogni passo della vita cristiana c’è qualcosa che viene prima del nostro decidere, prima anche del nostro domandare.

Ci ha amati per primo, per primo! C’è qualcosa che viene prima nel disegno eterno di Dio, c’era questo disegno di elezione, di predestinazione: non si può togliere dalla parola del Signore, dalle lettere di san Paolo questa parola così buona. Nel disegno eterno di Dio c’era questa predestinazione: che quell’assassino si sarebbe trovato alla destra di Gesù sul Calvario. Per primo ci ha amati. Il Papa nell’esortazione Sacramentum caritatis dice che questo “per primo” non ha soltanto un valore cronologico, nel senso che prima che incontrassimo il cristianesimo Lui ci ha amato per primo, ma ha un valore ontologico. Sempre è Lui che per primo ci ama, in ogni istante è Lui che per primo ci ama. Siamo prevenuti dalla grazia, siamo pre-diletti: lui ci ama per primo sempre, sempre ci ama per primo. Comunque il buon ladrone si era trovato lì per caso, non aveva fatto nulla se non i suoi delitti, non aveva fatto nulla per trovarsi lì accanto a Gesù.

E così anche la Madonna. Come mi ha colpito in questa Quaresima, leggendo lo Stabat Mater durante la via crucis, accorgersi che nello Stabat Mater ci sono in fondo solo due verbi: “stava” e “guardava”. Ha fatto solo questo, stava trafitta dal dolore, trafitta dalla lancia del dolore: stava, piangeva e guardava. «Vidit suum dulcem natum morientem desolatum». Ha visto il suo dolce nato, il suo dolce Figlio morire solo. Quando è spirato, lei stava e guardava. Non ha fatto nulla la Madonna se non stare e guardare. Anche per lei, l’Immacolata, era evidente che la grazia pre-veniva, che la grazia veniva prima, che per primo il suo Dio e suo figlio l’aveva amata. Per primo. «Vergine madre, figlia del tuo figlio». Figlia del suo figlio non solo come creatura, ma come pienezza di grazia. Stava e diceva grazie, perché quel sangue era la sua redenzione. Lei era stata amata prima, lei era stata preservata dal peccato per quel sangue. Stava, guardava e diceva grazie. Anche lei era redenta da quel sangue, anche lei era piena di grazia per quel sangue. Anche lei non era stata mai toccata dal peccato per quel sangue. Stava, guardava e diceva grazie. Questo è il primo suggerimento che volevo darvi.

Poi il secondo: che cosa fa questo assassino crocifisso alla destra di Gesù dopo aver detto (e in questo gesto c’è tutta l’umiltà di riconoscere le cose così come sono) all’altro suo compagno di condanna a morte: «Noi siamo condannati giustamente, lui invece non ha fatto nulla di male»? Guardando Gesù dice: «Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno». «Gesù, ricordati di me»: questo è il cristianesimo. È semplice il cristianesimo, non è faticoso, non è difficile per i poveri, per gli umili, così come è stato umile questo ladrone, questo assassino. È semplicemente questo riconoscimento, questa confessio, questa supplex confessio. Tutti i preti, quando dicevano messa in latino dicevano questa parola, prima del Sanctus: supplex confessio, un riconoscimento che domanda. Ha solo riconosciuto e domandato, ha guardato, ha riconosciuto e domandato: «Gesù, ricordati di me». E ha potuto dire «Gesù» perché c’era Gesù. Anche la sua domanda nasceva dal fatto che c’era Gesù. Se Gesù non fosse stato crocifisso lì alla sua destra, non avrebbe potuto dire «Gesù».

Anche la nostra domanda nasce dalla sua presenza, nasce dal fatto che per primo lui ci precede, così come il mattino di Pasqua alle donne dirà di andare a dire ai discepoli che li avrebbe preceduti in Galilea. Anche quel dire «Gesù, ricordati di me» nasce perché c’è Gesù. E questo è stupendo. Perché se è così, è possibile. Se nascesse da noi la domanda, non sarebbe sempre possibile, perché noi non solo siamo fragili, ma siamo anche cattivi, molte volte siamo distratti con cattiveria. Invece la domanda nasce per la sua presenza, nasce perché c’è Gesù. Allora, di fronte alla sua presenza, è semplice. È stato semplice per questo assassino dire «Gesù, ricordati di me quando verrai nel tuo regno». «Qui latroni confitenti paradisi ianuas aperuisti», dice la liturgia ambrosiana. Tu che all’assassino – latroni - che ti ha riconosciuto – confitenti: che ha detto solo «Gesù», ha detto solo questo, ti ha riconosciuto – hai aperto le porte del Paradiso.

Terzo suggerimento: cosa risponde Gesù? «Oggi sarai con me in Paradiso». Oggi vuol dire “in quell’istante”, nell’istante in cui guardando gli ha chiesto «Gesù, ricordati di me», non dopo. In quell’istante i suoi peccati non erano più un peso, erano la dolcezza, offrivano contenuto alla dolcezza di essere così amato. Anche i suoi peccati, anche i delitti per cui era condannato non erano più un peso quando si è sentito dire «Oggi sarai con me in paradiso». I suoi delitti non erano più un peso in quell’istante. Il passato non era più un peso in quell’istante. La Lettera agli Ebrei dice in maniera stupenda che per l’antica legge il passato è il ricordo dei peccati. Lì invece no, non era più il ricordo dei peccati, i peccati aggiungevano dolcezza a quell’«Oggi sarai con me in paradiso». Erano trasformati i gravi peccati per cui era giustamente condannato, come lui stesso dice: «Noi giustamente siamo condannati a morte», perché neppure uno iota della legge viene censurato. I suoi peccati per cui era condannato a morte sono trasfigurati in gratitudine e dolcezza oggi, in quell’istante.

Così è il sacramento della confessione. «In quell’istante», come il Santo Padre la settimana scorsa ha ricordato ai giovani di Roma e poi si è messo lui nel confessionale a confessare. In quell’istante in cui con umiltà, con sincerità, si dicono completamente i peccati, in quell’istante si è abbracciati dalla grazia del Signore. È così dolce essere abbracciati. E così è stato in fondo per Pietro quando è scoppiato in lacrime: «E Gesù guardò Pietro e Pietro si ricordò e scoppiò in lacrime».

E poi un’altra cosa. In questa dolcezza dell’«Oggi sarai con me in paradiso», certamente Maria ai piedi della croce, certamente Giovanni, il discepolo che lui amava, ma in quella dolcezza anche questo povero peccatore, anche il buon ladrone ha imparato ad imitare Gesù quando ha detto «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Come è stato semplice perdonare anche per lui, anche per questo povero peccatore. In quella dolcezza si impara a imitare Gesù. Quando si è abbracciati dal suo amore che ci ama per primo, quando ci si lascia abbracciare dal suo amore, in quella dolcezza, quasi senza accorgersi, si impara ad imitare. Come abbiamo cantato nello Stabat Mater: «Fac ut ardeat cor meum in amando Christum Deum». Fa che il mio cuore arda, che il mio cuore sia pieno di commozione nell’amare Cristo Dio, così da piacergli. Si impara a imitare, si impara a ubbidire: «Chi mi ama osserva i miei comandamenti», chi mi ama! In questa dolcezza è stato semplice per questo povero peccatore imparare a imitare.

Ma qui vorrei dire una cosa ed è la seconda che mi ha colpito tanto nell’esortazione del Papa: è quando il Papa dice che nello Spirito Santo, «in lui Gesù ha potuto offrire se stesso» sulla croce. Il Papa riprende san Tommaso che dice che il sacrificio della croce è stato possibile a Gesù perché il Padre gli ha infuso nel cuore la dolcezza della grazia dello Spirito Santo. È in lui che Gesù può offrire se stesso. Non è un eroismo la croce, la croce è un rapporto di amore. È il Padre che comunica in pienezza al Figlio la dolcezza del loro amore, la dolcezza dello Spirito Santo. In questa dolcezza è stata possibile l’offerta di sé. È nello Spirito Santo, è nella grazia dello Spirito Santo che è stato possibile, che Gesù può offrire. Mi ha colpito il verbo che il Papa usa: non è eroismo, è un abbandono. «Il Figlio da sé non può fare nulla»: anche sulla croce valgono queste parole che Gesù due volte ripete nel vangelo di Giovanni. Il Figlio da sé non può fare nulla. Il Figlio fa quello che vede fare dal Padre per la gioia che gli era posta innanzi, per la gioia infinita che è lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il godimento del dono reciproco tra il Padre e il Figlio. «Per questa gioia che gli era posta innanzi», dice la Lettera agli Ebrei, accettò la croce, «si sottomise alla croce».

Dico queste cose perché nell’ultimo scritto di don Giussani del 16 ottobre 2004 mi aveva colpito questa frase così semplice: «Quando diciamo il Rosario noi contempliamo la Santissima Trinità». Quando si dice il Rosario, quindi anche quando si dicono i misteri dolorosi, noi contempliamo la Santissima Trinità. Anche sulla croce è questo mistero di dolcezza, di sofferenza infinita ma di dolcezza nell’abbandono del Figlio al Padre, anche sulla croce contempliamo il mistero della Santissima Trinità.

L’ultima cosa. Innanzi tutto dico la terza cosa che mi ha così sorpreso nell’esortazione del Papa. Ne fa addirittura un paragrafo, quando dice che la Sua presenza «dat figuris terminum», mette fine a ogni simbolo, a ogni immagine. Non c’è più bisogno di simboli quando c’è la sua presenza, mette fine ad ogni simbolo, ad ogni immagine. «Viviamo insieme con lui». Basta dire «Gesù, ricordati di me». È la cosa più semplice. La sua presenza mette fine a ogni tentativo dell’uomo di raggiungere il mistero lontano. La sua presenza mette fine al tentativo dell’uomo. È buono il tentativo, è secondo ragione, ma è così triste. Invece la sua presenza, la dolcezza della sua presenza mette fine a questo tentativo. Come siamo fortunati: la vita cristiana è sempre identica all’istante del battesimo. In quell’istante, da figli dell’ira siamo diventati figli di Dio. È così la vita cristiana, è sempre in un istante di riconoscimento e di domanda e tutto il peso del peccato, magari di un momento prima, è come (anzi, non “come”) è evacuato e diventa dolcezza di gratitudine per essere così amati. Come siamo fortunati che la vita cristiana sia semplicemente questo riconoscimento che domanda: «Gesù, ricordati di me». Come siamo fortunati che la vita cristiana sia semplicemente l’«amen» al corpo di Cristo. Cosa c’è di più semplice davanti alla sua presenza reale e sostanziale – «corpo di Cristo» – del «così sia»?

Vorrei concludere leggendo questa preghiera di sant’Ambrogio in cui alcune delle cose che ho detto sono dette da lui. «Tu sei il mio aiuto e il mio sostegno » (adiutor et susceptor meus es tu) «e io spero nella tua Parola. Tu sei aiuto con la tua legge». La legge indica la strada, ma «tu mi prendi in braccio con la tua grazia», tu non solo mi indichi la strada ma mi prendi in braccio con la tua grazia. «Quelli che ha aiutato con la legge, li ha portati nella carne». È tutto qui, vedete. La legge è la strada per andare in paradiso, ma la Lettera agli Ebrei dice che c’è una nuova strada ed è la sua carne e in questa strada è lui che porta in braccio: ci ha portati nella sua carne. «Quelli che ha aiutato attraverso la legge, li ha portati nella carne. È scritto “questi prende su di sé i nostri peccati” e per questo», perché tu mi porti in braccio con la tua grazia, perché tu mi porti e prendi su di te i nostri peccati, per questo «ho sperato nella tua parola». «Non ho sperato nei profeti», sono una cosa buona i profeti, «non ho sperato nella legge», è una cosa buona la legge, ma profeti e leggi sono ombra; e quando c’è la presenza, se uno si fissa sull’ombra magari non si accorge della presenza che riflette l’ombra, invece occorre guardare la presenza. La legge e i profeti sono ombra, dice la Lettera di Paolo agli Ebrei, sono cose buone, ma quando c’è la presenza è così semplice guardare la presenza e chiedere «Gesù, ricordati di me».

E poi c’è la frase più bella: «io ho sperato nella tua parola, cioè ho sperato che tu vieni» (hoc est in adventum tuum). Perché non si può vivere del ricordo di una presenza. Si vive quando viene, non si vive neppure quando si sa che c’è. Non si può vivere sapendo che c’è il Signore, si vive quando viene. Il bambino non vive perché sa che c’è la mamma, il bambino vive quando la mamma viene e si fa vicina. Ho sperato che tu venga «et suscipias peccatores» e prenda in braccio noi peccatori. Si spera in questo, si spera che venga e prenda in braccio noi peccatori e ci perdoni i peccati e metta sulle sue spalle, cioè sulla sua croce, noi che siamo la pecorella smarrita.

Ascoltiamo cantare Veni Jesu. Lo leggo. «Veni Jesu amor mi». Immaginate come lo diceva la Madonna, magari dalla porta della casa di Nazareth quando Gesù stava giocando con i suoi amici piccoli: «Vieni, Gesù». È la stessa dinamica. Lo stare sempre con Gesù è la stessa dinamica, infinitamente più povera, infinitamente meno dolce per noi, ma la stessa della Madonna. Perché la grazia è la stessa e la preghiera è la stessa e l’abbraccio è lo stesso. «Veni Jesu, veni amor Jesu». Vieni Gesù amore, vieni Gesù, «amor mi».

Prima di riascoltare questo canto vorrei chiedere a tutti di recitare in piedi tre gloria a sant’Antonio per il Papa. Il 16 aprile compie ottant’anni e il 18 inizia il terzo anno del suo pontificato. Chiediamo («si quaeris miracula») chiediamo a sant’Antonio di custodirlo proprio con i suoi miracoli. «Dominus conservet eum et vivificet eum», il Signore lo conservi e gli doni vita «et beatum faciat eum super terram». Com’è bello: che lo renda felice in questa terra, lo renda felice qui «et non tradat eum in manibus inimicorum eius» e non lo abbandoni nelle mani dei suoi nemici sulla terra. E così colui che ha compiuto e compie tanti miracoli, in questo compleanno del vescovo di Roma possa compiere anche per lui tanti miracoli.

Recita dei tre Gloria al Padre.

Canto: Veni Jesu

 

(testo tratto da appunti e non rivisto dal relatore)